Dire, fare e baciare dalla terra madre alla ruggine spettrale

Alla Biennale di Venezia 2024, si può visitare il Padiglione Nazionale di Timor Est, con l’installazione in site-specific dell’artista Maria Madeira, la quale s’intitola Kiss and don’t tell. La curatela è di Natalie King, una professoressa australiana, e presso lo Spazio “Ravà”. Timor Est divenne indipendente dall’Indonesia nel 1999. Tornatavi, Maria Madeira dormiva in una stanza piena di segni colorati, lungo le pareti, all’altezza delle ginocchia. Lei era fuggita da bambina, con l’evacuazione durante l’invasione indonesiana. A Timor Est, le donne rimaste subivano l’umiliazione di mettersi il rossetto, in ginocchio, per poi baciare i muri.

Da questa scoperta, Maria Madeira ha ricavato l’installazione per Venezia, che noi percepiamo attraverso un’estetica sociale. L’artista utilizza le gocce di vernice e la noce di betel, accentuando un antisettico rispetto alla virtualità per le ferite sanguinanti. Nel contempo, la terra rossa sarà quella natia. Ma ci si chiede quanto la coagulazione possa rivitalizzare, seccando, oltre il tais (quindi il tessuto tradizionalmente lavorato dalle donne, a Timor Est) dove le lacrime assai più si riversano, ed assai meno s’ammorbidiscono. L’ossimoro della macchia pulsante vale esteticamente, poiché la storiografia, reinterpretando le cause sociali delle guerre, deve avere la lungimiranza, con un monito politico, d’impedirne la ripetizione (dalla banalità degli istinti all’interesse privato). Sembra che la parete di Maria Madeira esibisca delle sbarre tonali. Quelle del rossetto che si passa sulla bocca vogliono preparare uno schiocco amorevole, grazie al bacio. Ma qui si percepisce il dolore di non poter attutire (pacificando). In guerra scoppiano improvvisamente le bombe. Oppure c’è la “calma apparente” per il posto di blocco, sul quale i cittadini non possono sindacare. Noi immaginiamo che la sbarra colante indichi un < alt ˃ scavabile. L’artista ripudia la guerra da un obiettivo fattivo: chiedendo un impegno per la pace. La sbarra che purtroppo marchia, con la violenza, è scavabile tramite lo < alt ˃ della storiografia: fermandosi a pensare. Il prigioniero politico deve imparare a resistere. Per lui, il tempo avrebbe solo un “dripping”, a causa della lentezza per l’espiazione che, al contrario, è gonfiata dal regime illiberale. Almeno il bacio potrà superare le sbarre? Il guardiano impedirà il passaggio delle informazioni tutt’altro che solo private. Per l’inaugurazione della propria mostra, a Venezia, Maria Madeira aveva accompagnato il bacio sulla parete con l’intonazione di cori indigeni, in tetum (una lingua austronesiana, che si parla a Timor Est). Si potranno aizzare gli animi: ovviamente per un impegno pacifico, dalla coscienza civile. Il canto, quasi silente alla serietà della sua testimonianza, avvalorerebbe esteticamente chi non avesse nemmeno voce in capitolo, giacché prigioniero politico, controllato in uno tra i cinque sensi che comportano il diritto alla vita. Infatti le parole scelte dall’artista rimandano alla madre terra (accusando l’usurpazione indonesiana). L’immagine è femminile, mentre l’innocenza della dolcezza insegnerà la grazia per la non-violenza. Il concetto appartiene alla cultura orientale, per esempio fra il buddismo ed il taoismo (quantunque a Timor Est il cristianesimo “regni”, dalla colonizzazione portoghese). Adattando un classico gioco per bambini, il < dire, fare, baciare ˃ rappresenta un obiettivo per l’attivista politico (che rivendica la libertà). Sempre l’amore deve vincere sulla guerra… Maria Madeira certamente s’augurerebbe un < kiss and tell >. L’amore ci prende così tanto in privato da diventare “contagioso” socialmente (ergo civilmente).


Source: Scuola Filosofica by Paolo Meneghetti